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Le risorse del segno

 

Nel lungo itinerario dell’attività di Gustavo Giulietti, che si snoda lungo la seconda metà del secolo scorso, alla dimensione pubblica è stata indirizzata esclusivamente la pittura. In tutte le occasioni espositive, a partire dall’esordio alla Galleria L ’Indiano, nel 1958, fino alla mostra scambio Italia Slovenia del 1999 a Sinji Vhr, sono stati esibiti solo dipinti, nei quali le tele, il grande formato e il colore erano i denominatori comuni; questa era la destinazione impegnata e impegnativa di opere che erano il frutto di una estenuata ricerca. Ma analizzando la produzione ricchissima, rimasta tuttavia nella dimensione privata si può ben raccontare di una costante parallela dedizione dell’artista all’opera grafica, si potrebbe dire quasi accudita in una quotidianità fatta di gesti lenti e sapienti i cui frutti dovevano restare nella sfera di una intimità, compiaciuta di qualità comunque alte ma riservate. Come una carta in più, da non giocare mai. Si è venuta così formando una cospicua raccolta, di quasi quattrocento opere, quasi tutte in redazione unica, nel senso che anche quelle predisposte su matrice da riproduzione sono state, per volontà dell’autore, edite in un unico esemplare e, solo poche di queste, sono ora conosciute perché esposte nella grande retrospettiva antologica del 2005, presso la galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti.

Di questa raccolta, una parte significativa viene oggi donata dalla famiglia al Comune di Santa Croce sull’Arno così esemplarmente vivo e attivo per l’arte, grazie alla partecipazione dell’amico Luigi Fatichi, intellettuale a pittore fra i più vicini a Gustavo Giulietti. Si tratta di circa cento opere fra disegni, stampe e lastre calcografiche tutte pronte per la stampa.

Nell’ambito della grafica, nel cui genere includeva tutto ciò che fosse esplicitamente su carta, di piccolo formato e di destinazione privata: dal disegno a matita e a carboncino alla più fluida china, dall’acquerello al collage, dalle carte stropicciate alla incisione calcografica e litografica, Giulietti era particolarmente esperto nella tecnica dell’incisione, sulla quale ha lasciato numerosi scritti destinati a formare un manuale, mai pubblicato, conservati insieme ai suoi documenti presso l’Archivio di Stato di Firenze. Oltre che dalla paziente sperimentazione dei materiali (si ricordi qui la originale, moderna riproposizione dell’antico ‘vero fresco‘ nei locali dell’Accademia di Belle Arti negli ultimi anni di docenza) la nota manualità di Giulietti si sostanziava del lungo apprendistato vicino a Rodolfo Margheri (se non lo avessi conosciuto sarei un altro) un personaggio carismatico fra più abili incisori del tempo, direttore tecnico negli esordi della storica stamperia d’arte il Bisonte. Incarico che qui ricordiamo Margheri lascerà a Giulietti dopo la sua morte avvenuta nel 1968. Di questi dieci anni di attività il lascito conta numerosi disegni: dai primi esercizi ancora accademici fino agli schizzi a china, ovvero Le composizioni del periodo Informale ed anche numerose stampe calcografiche, comprendenti più tarde opere figurative come il falco di Presenza, da una committenza della Galleria Michelucci e il Ritratto di Rodolfo Margheri, con le quali siamo agli esordi degli anni ‘70. Diversamente da Margheri la ricerca di Giulietti presso il Bisonte fu esercitata intorno alle possibilità della tecnica litografica, che proprio negli anni ’70 viveva una fiorente stagione attraverso sperimentazioni intorno a cui si impegnavano gli artisti del momento i quali, a turno, transitavano dalla Stamperia di Luigia Guaita per realizzare, grazie all’assistenza di Giulietti, i multipli a colori, come uno status simbol. Tra questi fa parte della donazione Two Figures Talking, nella copia dedicata a Giulietti, realizzata ad acquaforte e litografia su progetto di Henry Moore; una collaborazione di cui resta memoria in una storica fotografia dei due artisti al lavoro, nel 1972.

Il lungo periodo degli anni 80 e 90 è segnato dall’eco di due importanti quanto diversi eventi che tuttavia si sovrapposero nella mente creativa dell’artista ormai maturo: le impressioni di un viaggio fra gli scogli della Corsica e le spettacolari sperimentazioni di Corrado Cagli, esposte nella mostra fiorentina seguita alla donazione da parte dell’omonima fondazione, di trecento opere al Comune di Firenze. È dalle suggestioni del poliedrico ingegno di Cagli, profondamente affine, che fioriscono le decalcomanie, i frottage, i collage, i papier velours, gli aerografi che accompagneranno in seguito la ricca attività grafica di Giulietti, e soprattutto da qui nascono i quadri, gli acrilici su carta stropicciata spruzzata di colore, intelata e di nuovo dipinta che caratterizzano tutta la successiva pittura: le carte. Si tratta di forme nuove, contratte, paesaggi artificiali, libere associazioni, sintonia tra artificio e immaginazione, rappresentazioni di volumi ed effetti tridimensionali, esperiti sulla tela sulla carta e finalmente su prove scultoree, destinate anche queste alla dimensione privata dell’artista. In questa fase pittura e ricerca grafica quasi si confondono per materia e contenuto, ma non nella matrice intimista dei delicati lavori su carta, dai quali emergono incessantemente piccole, leggere opere ludiche. Inaspettata, ignota, nascosta ed amata inizia, a partire dagli anni 90 affiora postuma, la produzione di una serie numerosa di disegni, contrassegnati da una rigorosa unità di stile. Fra questi, il gruppo più tardo viene intitolato Per il terzo millennio, ed alcuni esemplari fanno ugualmente parte della donazione: si tratta di carboncini su carta, l’ultimo dei quali data al 2001; esperienze anche queste nate dal frottage e dalla tecnica dell’impronta nelle quali si sono consumate le ultime energie dell’artista nella dissoluzione della forma.


“Il disegno non lo ritengo preparatorio nel senso che non serve a produrre il quadro ma serve a riscaldare… a riprendere confidenza con il lavoro, diventa un’operazione meditativa.”
È una esperienza sfumata, di morbidezze interiori.


Loretta Dolcini